A Sassuolo il mese d’ottobre è sempre straordinario: ogni domenica infatti c’è un grande mercato e tutti i negozi del centro espongono su bancarelle, di fronte alla propria vetrina, la merce a prezzi speciali e tutti sperano di concludere un buon affare. E ovviamente non possono mancare gli stand gastronomici che vendono borlenghi, gnocco fritto, caldarroste e Lambrusco.
Avevo 6 anni la prima volta che vidi Sassuolo ed era proprio una domenica d’ottobre. Io e i miei genitori all’epoca abitavamo in una casa in campagna, nella bassa modenese. Ci eravamo da poco trasferiti da Napoli e ricordo la tristezza di essere avvolti dalla solitudine e dalla nebbia, quasi costante. Invece Sassuolo era così piena di vita e di colori! Ai miei genitori piacque così tanto che in pochi mesi comprarono casa a Sassuolo e io iniziai la seconda elementare nella nuova scuola.
Da quella prima volta, non ho mai perso una fiera d’ottobre. E stamattina è stato bellissimo passeggiare con Matilde e raccontarle la storia centenaria delle fiere d’ottobre. E ho deciso di raccontarla anche a voi attraverso questo articolo.
Il 24 maggio 1503 Alfonso I d’Este concede alla vedova di Gilberto I Pio, Eleonora Bentivoglio, di poter fare una fiera a Sassuolo, un porto franco, un luogo dove le merci possono essere scambiate liberamente, senza dazi né pedaggi. Nella società del ‘500, con un commercio ostacolato da dogane interne, misure e pesi diversi, con una produzione in gran parte di sussistenza, destinata cioè all’autoconsumo, la fiera permette un concentrato di merci, uno scambio di generi più particolari e altri eccedenti. L’appuntamento di ottobre quindi diventa fin da subito un richiamo sia di merci che di commercianti con buon movimento di capitali.
Negli anni successivi la fiera attira a Sassuolo non solo gente dai paesi vicini ma anche dalla montagna, sia modenese sia reggiana.
Attorno al 1630, mentre in Italia imperversa la peste e l’Europa è devastata dalla Guerra dei Trent’anni, la fiera d’ottobre prospera e Sassuolo viene paragonata a Milano per volume di scambi.
Ancora oggi l’obiettivo dichiarato delle fiere d’ottobre è quello di “non disperdere la tradizione storica delle fiere, radicata nel territorio, e consentire la valorizzazione e la rivitalizzazione del centro storico, inteso non solo come contenitore fisico, ma anche come momento aggregativo e punto di riferimento culturale” (fonte www.visitsassuolo.it/sassuolo/fiere-dottobre/ ).
Per una realtà industriale come Sassuolo, proiettata sui mercati di tutto il mondo grazie al commercio di piastrelle, la fiera costituisce un ritorno alle origini: è una comunità intera che promuove la sua immagine, mette in scena il suo patrimonio e riscopre la sua identità collettiva.
Ma sapete che ogni domenica d’ottobre ha un nome specifico?
Il significato dei nomi delle fiere è imperniato sull’approccio commerciale usato dall’avventore sassolese, nell’ottica di fare gli acquisti migliori.
La prima domenica è dei Curiàus perché ci si reca a scuriosare e a chiedere informazioni per poi decidere cosa e da chi comprare, ma in realtà non si acquista nulla.
La seconda domenica, pur avendo deciso cosa acquistare, si finge di non esserne realmente interessati per indurre il venditore ad abbassare il prezzo; perciò ci si concentra sulle belle donne (Bèli Dann)!
Resdàur invece è il termine che indica il bravo capofamiglia. Quindi nella terza domenica i più scaltri riescono a concludere l’affare in quanto il mercante, timoroso di non vendere la propria merce, accetterà il prezzo proposto.
Attenzione però a non farsi sfuggire le occasioni e rimandare fino alla quarta domenica: la féra di Sdàs (si potrebbe tradurre “stupidi”). Come il setaccio trattiene la crusca e lascia cadere la farina, così chi crede di fare affari in questo giorno in realtà non acquista che ciò che è stato lasciato dai bravi resdàur in quanto ritenuto non interessante o non conveniente.
Se c’è una quinta domenica, viene chiamata féra di Stumpài perchè priva di qualsiasi interesse commerciale e necessaria solo a chiudere il mese.