Nel 1598 la famiglia d’Este perse Ferrara e fu costretta a trasferire la corte a Modena, elevata a nuova capitale del ducato. Considerata tra i più bei castelli del ducato, dotata di ampie aree di caccia a ridosso di un pescosissimo fiume, la residenza di Sassuolo fu subito utilizzata dalla corte come luogo di “delizia”.
Ma la vera svolta ebbe luogo con Francesco I d’Este (duca dal 1629 al 1658) che, consapevole dell’irreversibilità della perdita di Ferrara, avviò un sistema di opere per trasformare Modena in città stato, definitiva sede del governo ducale, dove far risiedere la corte e gli organi di governo, ma scelse Sassuolo per farne un luogo d’eccellenza, idoneo agli svaghi e ai cerimoniali della villeggiatura.
Tutto il palazzo è volutamente pensato e decorato per essere una sorta di gigantesco e fastoso elogio dinastico. Gli ambienti furono dipinti da un’équipe di artisti straordinari che ben interpretarono lo spirito ambizioso e mecenatistico di Francesco I, fra i quali il francese Jean Boulanger, pittore ufficiale della corte estense ed alcuni tra i maggiori pittori quadraturisti bolognesi come Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli ed un gran numero di abili decoratori e plasticatori, tra i quali Luca Colombi e Lattanzio Maschio.
Nelle pareti e nei soffitti delle sale si intrecciano temi allegorici ed episodi della storia estense, si incontrano eroi mitologici e della letteratura classica e cavalleresca, tutti uniti per esprimere il programma esaltante della nobiltà e del “buon governo” estense. Le raffigurazioni sono inserite all’interno di “quadrature”: una delle prove meglio riuscite dell’architettura dell’inganno.
Uno studiatissimo effetto prospettico e una sorprendente moltiplicazione virtuale degli spazi che dimostra quanto fosse alta la passione per la capacità della pittura nell’imitare artificiosamente i materiali e la natura.
Il grande complesso del Palazzo include anche la cappella palatina dedicata a San Francesco…
…e la magnifica Peschiera.
La grandiosa ristrutturazione avviata sotto Francesco I d’Este, nel 1634, dall’architetto romano Luigi Bartolomeo Avanzini, che trasformò il castello in “delizia” signorile, conseguì notevoli interventi riguardanti anche le aree verdi, destinate allo svago della famiglia ducale e della corte, secondo un nuovo rapporto di “dialogo” con l’architettura degli interni, attraverso la presenza di logge, aperture e sistemi di raccordo tra i piani dell’edificio e quelli dei viridari. Un nuovo giardino, detto “piccolo” o “segreto”, riservato al ristretto godimento privato dei duchi, fu ricavato a nord, nello spazio compreso tra la nuova dimora di villeggiatura e gli spalti delle antiche mura castellane; spalti piantumati di vite e altre essenze al fine di coronarli di pergolati sotto la cui ombra poter passeggiare.
Grazie all’abilità dello scenografo e ingegnere idraulico reggiano Gaspare Vigarani (attivo anche presso la corte di Luigi XIV), coadiuvato da suo figlio Carlo, poi, le acque del vicino Canale di Modena, derivate da quelle del fiume Secchia, poterono raggiungere sia la Peschiera sia le fontane, realizzate in gran parte su disegno di Gian Lorenzo Bernini e variamente dislocate nel complesso, meravigliando gli ospiti del duca e avvolgendoli col loro fragoroso sciabordare.
Antonio Loraghi completò l’intervento avviato da Avanzini nel parco vero e proprio mantenendo nei pressi del palazzo, pur riconfigurandole, le consuete aiuole formali delimitate da siepi di bosso e ornate di zampillanti fontane e alberelli ma introducendo una importante novità, testimoniata da un disegno del 1679: due viali alberati che si dipartivano dal giardino leggermente divergenti, uno diretto alle “berlete” di caccia e l’altro verso la collina del Belvedere.