L’aceto balsamico tradizionale di Modena è un condimento tradizionale della cucina emiliana, prodotto con mosti cotti d’uve provenienti esclusivamente dalla province di Modena e Reggio Emilia, fermentati ed in seguito invecchiati per almeno dodici anni, in botti via via sempre più piccole e in tipi di legno diversi.
Pur affondando le proprie radici, probabilmente, già in età romana, la sua produzione è documentata a partire dal 1046, quando Enrico III, duca di Franconia, in viaggio verso Roma per essere incoronato Imperatore, chiese a Bonifacio III di Canossa di “quell’aceto tanto lodato (… che…) aveva udito farsi colà perfettissimo”. Sebbene la parola “balsamico” non venga menzionata, l’importanza del prodotto è confermata dal fatto che Bonifacio gliene fece dono entro una botticella d’argento, e che Alberto, il visconte di Mantova, per rispondere in modo adeguato abbia inviato all’Imperatore numerosi cavalli, astori ed altri rapaci.
Prodotto raffinato, molto apprezzato nel rinascimento dagli estensi, destinato solo alle tavole delle famiglie più abbienti, grazie ai Duchi di Modena e Reggio venne fatto conoscere a membri illustri dell’aristocrazia europea, tanto che nel 1764, di passaggio a Modena nel corso di una missione diplomatica, il conte Voronzov, Cancelliere imperiale di Russia, chiese di inviare alcune bottigliette alla zarina Caterina la grande.
All’inizio del XVIII secolo il medico e naturalista Antonio Vallisneri annota che già nel 1288, quando Obizzo II d’Este venne investito della Signoria di Modena, alla sua corte erano conservate numerose botti di aceto. Inoltre fonti frammentarie di epoca rinascimentale tramandano di differenti classificazioni delle varie tipologie di aceti presenti nel Registro Ducale Estense (1556), e del loro utilizzo secondo le diverse necessità ed occasioni.
Ma perchè è così prezioso? Il processo di trasformazione dei mosti può avvenire solo nelle particolari condizioni ambientali e climatiche tipiche dei sottotetti delle vecchie abitazioni e solo nel territorio delle due provincie emiliane, caratterizzato da inverni rigidi ed estati calde e ventilate. Per queste ragioni non può essere ottenuto con lavorazioni industriali o su larga scala, per cui la sua la produzione è molto limitata e il prezzo piuttosto elevato.
Ma la caratteristica balsamica di questo tipo di aceto si ottiene soprattutto grazie ai vari tipi di legno che vengono utilizzati per le diverse botti: ciliegio, noce, rovere, ginepro, frassino, gelso, castagno… Nella botte più grande si mette la “madre”, quindi il mosto cotto fermentato, poi ogni volta che si sposta il liquido in una botta sempre più piccola, si aggiunge altro mosto nella prima botte. Ad ogni passaggio il legno della botte dona un particolare profumo all’aceto, che diventa quindi balsamico. Avete capito la magia?
A Spilamberto è possibile visitare il Museo dedicato all’aceto Balsamico Tradizionale di Modena, dove si può capire tutto il delicato procedimento che c’è dietro alla produzione di una boccetta di oro nero. Sono esposti anche gli strumenti usati nel passato e i documenti che attestano la preziosità di questo condimento. Alla fine del percorso di visita è possibile fare una degustazione di diversi tipi di aceto; la differenza la fa ovviamente l’invecchiamento, cioè quanti anni e quanti passaggi di botti ha subìto l’aceto.